La Storia non serve a niente
La Storia non serve a niente: sì, lo penso anche io. È così quando è fatta solo di date, eventi, numeri e distanze. Quando la si studia da un unico manuale e quindi da una sola prospettiva, come spesso accade nei licei. Quando si riferisce al passato, a un tempo concluso, e non al fluire del tempo in cui siamo immersi, consapevoli o meno. Quando il suo scopo è imparare fatti ovvi e indiscutibili. Quando insegna a trovare certezze e non a porsi domande. In tutti questi casi, anche io credo che la Storia sia inutile. Crescendo – un po’ – credo di avere fatto una scoperta grandiosa: la Storia è fatta di persone. Ma proprio persone persone. Umane. Con una faccia, dei pensieri, un cuore, delle relazioni, degli amori, delle speranze, dei talenti, dei timori, delle fobie. Allora ho capito che, in fondo, questa Storia altro non è che conoscere delle persone e come si sono relazionate tra loro. E mi sono accorta che le persone, e tanto più le modalità con cui interagiscono, sono davvero ma davvero complesse. Così mi sono convinta che il vero senso della Storia sia insegnare la complessità.
La Storia complessa (forse) serve a qualcosa
Si prenda un qualsiasi fatto storico. Si cerchi di conoscerlo al meglio, consultando decine e decine o magari anche centinaia di fonti che lo riguardano. Si immagini per assurdo di poter recuperare tutte quante le tracce che ha lasciato per i libri, per il mondo, per le persone. Ci si troverà di fronte a un paradosso: più informazioni si raccoglieranno e più si avrà l’impressione che le certezze diventino labili, fumose, incerte; sminuzzate da mille dubbi e domande che continueranno a moltiplicarsi. Ci si accorgerà che la realtà è davvero complicata, che dietro a ogni azione o reazione apparentemente chiara, certa, scontata, si nascondono possibili infinite cause, intenzioni, coincidenze e fatalità. E allora, se la Storia non offre nemmeno certezze, o peggio ci abitua a pensare con incertezza, cosa serve averci a che fare? Serve a liberarci dai giudizi facili. Interiorizzare che ogni istante della nostra esistenza è percepito secondo una nostra limitatissima prospettiva – personale, emotiva, culturale, sociale – conduce inevitabilmente a osservare, anziché giudicare; ascoltare, anziché sentenziare; dialogare, anziché colpire. Tutte le relazioni, da quelle umane, familiari e professionali, a quelle tra culture, nazioni e stati, hanno un necessario e indispensabile bisogno di consapevolezza della prospettiva. Conoscere con certezza offre la possibilità di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. E quando qualcosa è giusto va difeso, spesso a ogni prezzo e con ogni mezzo. Difendere ciò che è giusto è sempre stata la radice di ogni prepotenza, conflitto, abuso e violenza: tutte le guerre sono tra giusti. Perciò ho deciso di raccontare la Storia e anche alcune delle sue sfaccettature non troppo conosciute, che potrebbero mettere in discussione opinioni e giudizi consolidati su fatti e persone. A dimostrazione che, sempre, ci manca qualche pezzetto di verità.